Non ricordo esattamente il momento preciso in cui ho messo piede su una barca a vela per la prima volta. So solo che ero già adulto. A differenza di molti, la mia passione per la vela non mi è stata trasmessa fin da bambino. Tuttavia, ricordo con chiarezza il mio primo corso di vela: era la fine dell’estate del 1989, a Dervio, sul Lago di Como. Partecipai al Corso di Avviamento alla Deriva organizzato dalla Sezione di Milano della Lega Navale Italiana, che si teneva presso la loro Base Nautica.

Da quel momento, la passione per la vela mi ha conquistato e non mi ha più abbandonato. Nel novembre dello stesso anno, dopo aver completato tutti i corsi, iniziai la mia attività come Allievo Istruttore durante il Corso Allievi Istruttori della Lega Navale Italiana di Milano. L’anno successivo, diventai Istruttore di Deriva a tutti gli effetti. Da quel giorno, una parte significativa del mio tempo libero è stata dedicata alla vela, sia nei corsi della Lega Navale Italiana che del Centro Velico Caprera, di cui la Sezione di Milano è fondatrice. Con il tempo, sono diventato Esperto Velista della Lega Navale Italiana.

Nel corso degli anni ho avuto il piacere di incontrare centinaia di allievi, ciascuno con il proprio percorso, durante corsi di preparazione alla patente nautica, crociere costiere, di altura o manovre sui cabinati. Alcuni di loro li ho rivisti in momenti casuali, su banchine o barche, e spesso ho percepito di aver lasciato un segno, di aver trasmesso quella scintilla che una volta accesa non si spegne: l’amore per il mare e per la vela.

È vero, un paio di weekend in mare non bastano a formare un marinaio, ma nei nostri corsi cerchiamo di insegnare non solo ciò che serve per superare l’esame, ma anche i primi rudimenti di arte marinaresca, l’etichetta navale e la bellezza di un veliero che scivola in silenzio lungo la sua rotta. Alcuni allievi finiscono il corso trasformati, consapevoli di aver intrapreso un percorso molto diverso da quello che si aspettavano, simile a un corso di scuola guida. Tornano a casa con un cambiamento interiore, colpiti da qualcosa di più profondo.

La patente nautica è sicuramente importante, non solo perché lo richiede la legge o per motivi di sicurezza in mare. Se la scuola è di qualità e ha una tradizione marinaresca solida, il corso trasmette molto di più delle semplici nozioni teoriche e pratiche di navigazione. Si impara cosa significa navigare in equipaggio, pianificare insieme un obiettivo e lavorare per raggiungerlo.

Un buon corso per la patente nautica si distingue per lo stile e l’esperienza della scuola, ma soprattutto per la competenza e la passione dei suoi istruttori. La navigazione a vela non è intuitiva, e il mare può incutere timore o diffidenza a chi vi si avvicina per la prima volta. È compito dell’istruttore guidare l’allievo con sensibilità, dosando le difficoltà delle prime manovre. Ogni singola manovra ha le sue regole e modalità corrette di esecuzione, e per questo è fondamentale:

• Spiegare ogni manovra con chiarezza, assicurandosi che l’allievo abbia compreso.
• Mantenere un atteggiamento calmo e rilassato, ma sempre attento a ciò che accade attorno alla barca. Gli allievi percepiscono immediatamente qualsiasi incertezza o nervosismo da parte dell’istruttore.
• Favorire un apprendimento sereno: ciò che si impara praticando in un ambiente privo di stress si fissa più rapidamente e in modo più profondo.

Negli anni, ho vissuto tanti episodi durante i corsi o le sessioni d’esame, alcuni entusiasmanti, altri meno. Uno dei ricordi più vividi risale a un'uscita in mare a bordo di un cabinato a vela da 45 piedi, qualche miglio a sud di Punta Vagno, vicino all’ingresso del porto di Genova. Ero con cinque allievi che si stavano preparando per la prova pratica dell’esame. Non era la loro prima uscita, e per fortuna, perché quel giorno, la brezza che ci accompagnava si trasformò rapidamente in vento teso e poi in forza 7. L’atmosfera a bordo cambiò bruscamente, da rilassata a tesa.

Ricordo il timoniere, pallido e preoccupato, che faticava a comprendere che un cabinato di 14 metri non si ribalta per il vento, anche se la falchetta toccava l’acqua a causa delle vele troppo aperte. I primi ordini per prendere la mano di terzaroli vennero accolti con grande ansia dall’equipaggio, come se fosse una condanna. Ma gradualmente, le nozioni imparate alla lavagna riemersero, richiamate da me con insistenza, e finalmente, la barca divenne più gestibile. Quando anche la seconda mano di terzaroli fu presa, la situazione a bordo si rilassò, e gli occhi degli allievi iniziarono a brillare. Le espressioni tese si trasformarono in sorrisi, incantati dalla potenza del mare e dall’adrenalina del vento.

Al ritorno in porto, la soddisfazione nei loro sguardi era tangibile. Nonostante fosse stata solo una breve esperienza di vento forte vicino al porto, per loro quella prova aveva fatto la differenza. Quel momento, quegli sguardi di orgoglio e fierezza, non li dimenticherò mai.